Galeotto Fu Il Film

Le vite degli altri“, mi ha emozionato grandiosamente. La mia prima visione del film fu distratta, altezzosa e cinica. Guardavo il televisore con aria stanca, la storia non decollava e i colori, già grigi e spenti per la malinconica fotografia, non mi aiutavano.

Mi viene in mente un’aneddoto del regista Arthur Penn. Quando egli si ritrovò a casa dell’ultra-conservatore Jack Warner per presentare il suo capolavoro “Gangsters Story”, il potente tycoon lo accolse con un avvertimento che sembrava più una condanna che un monito: «….se mi alzo per andare a fare pipì significa che il film non è buono…». Dopo cinque minuti dall’inizio, Warner si alzò e andò in bagno. Tornò a sedersi, si alzò nuovamente e andò in bagno. Questo accadde per tutta la durata del film sotto gli occhi esterrefatti di Penn.

Questa è la cosa che mi successe quando guardai per la prima volta il film di von Donnersmarck. Non gli prestai fiducia e attenzione. Poi succede che tutti ne parlano bene e tu vuoi capire se sei il solito snob cinico o piuttosto un vero intenditore. Mi misi d’impegno al fine di arrivarne a capo. Fu un’esperienza travolgente, uno dei più bei film degli ultimi anni, una perla che nascosi e che mi affrettai a spolverare.

Una fotografia splendida, malinconica, grigia e talvolta oscura come gli anni di dittatura politica sotto l’occhio (e l’orecchio) punitivo della Stasi. Attori brillanti (su tutti il protagonista, Ulrich Mühe, nei panni dell’ordinatissimo tenente di polizia) e scenaggiatura solidissima come gli enormi casermoni che popolano la Berlino Est riprodotta nel film. Una città frigida, che bandisce ogni emozione non controllata, incolpevole di una storia europea che la erge a simbolo di quegli anni. Una città divisa in due come i sentimenti di quegli stessi interpreti protagonisti, il tenente spia (che a forza di scrutare le vite degli altri cercherà di impadronirsene per recuperare la sfera intima delle sue emozioni da tempo ormai troppo represse) e lo scrittore spiato (dai sogni e le ambizioni segretamente rinchiuse per evitare una persecuzione politica. Un’eccezionale prova d’attore di Sebastian Koch che ricorda fortemente l’esperienza di Vaclav Havel in Cecoslovacchia).

Un film da ricordare e da gustare fino alla fine. Commovente, eccitante e fluido.

(Per la cronaca, “Gangster Story” fu uno dei più grandi successi della Warner Bros.)

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